29/01/2013 – ,Na specie di Cadavere Lunghissimo

Il corpo a corpo con lo spettatore fa del teatro unesperienza unica e irripetibile. Il campo magnetico prodotto dallincontro tra il corpo degli spettatori e quello dellattore pu determinare, a patto che in scena accada realmente qualcosa, un cortocircuito che non ha uguali dal punto di vista delle emozioni e della conoscenza.
Il teatro anche uno degli ultimi luoghi dove si esercita ancora larte della memoria. Intesa sia come mnemotecnica (gli attori sono gli ultimi depositari di questa disciplina) sia come serbatoio di una coscienza storica collettiva. Per questo il teatro oggi fa pi paura al potere.
Perch molti italiani ricordano. E non sono disposti a dimenticare. Perch molti italiani sanno che la sistematica distruzione della memoria storica del nostro paese stata e resta uno degli obiettivi pi pervicacemente perseguiti negli ultimi decenni. Perch azzerare e annullare il valore della memoria significa poter dire e fare, oggi, tutto e il contrario di tutto.
Il progetto Gadda e Pasolini: antibiografia di una nazione nasce da questo: dal desiderio di organizzare un grande racconto sulla trasformazione del nostro paese. Su ci che eravamo, su ci che siamo diventati o su ci che in fondo siamo sempre stati. Per capire cosa accaduto, come sia stato possibile arrivare a tutto questo. Una mappa cromosomica dellItalia e degli italiani per orientarsi meglio in un presente troppo spesso buio, opaco e pericoloso.
Ho iniziato cos, circa dieci anni fa, un lungo ed entusiasmante viaggio con Giuseppe Bertolucci che non ringrazier mai abbastanza per avermi accompagnato con il suo talento e la sua umanit prendendo in prestito le parole di due autori per molti aspetti diametralmente opposti per formazione, lingua e visione della Storia.
Attraverso studi e passaggi successivi, hanno preso vita e corpo i due spettacoli Na specie de cadavere lunghissimo (da alcuni testi di Pasolini e da un poemetto di Giorgio Somalvico) andato in scena a partire dal 2004 e Lingegner Gadda va alla guerra o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro (da due testi del Gran Lombardo e dallAmleto di Shakespeare), che ha debuttato nel gennaio del 2010.
Quello che ne venuto fuori, a distanza di anni, un doppio sguardo sulla nostra storia del Novecento, feroce e inesorabile. Dove al teorema pasoliniano sulla mutazione antropologica di un intero paese si aggiungono, come tessere di un unico mosaico, le note gaddiane sulla Grande Guerra e le sue annotazioni psico-letterarie sul ventennale flagello fascista.
Due sguardi incrociati sulle dinamiche della grande Storia, spesso sorprendenti, dove termini come progressista o conservatore cedono il passo alla sola forza di due intelligenze in continuo movimento.
I due autori, pure cos distanti, si ritrovano sul terreno comune di un amore furioso verso il proprio paese, partendo dalla loro personale tragedia privata. Due uomini che si conquistano sul campo la possibilit di poter esprimere un giudizio su ci che li circonda, solo dopo aver fatto a pezzi se stessi. per questo, credo, che le loro parole come munite di una speciale forma di autorevolezza sembrano avere, oggi, un peso specifico cos grande. Da questa pratica autodemolitoria, da questo continuo far naufragio del proprio io, credo derivi la forza dei loro ragionamenti, oltre che della loro scrittura. In questo esercizio spirituale e al contempo laico risiede lo statuto etico del loro pensiero. Perch non basta esprimere un pensiero alto o condivisibile, ma necessario che chi lo esprime sia credibile per chi lo ascolta.
Gadda e Pasolini analizzano da differenti angolazioni i sintomi di quella piaga antropologica prima che storica che fu il fascismo. Osservano la riemersione carsica (e dunque periodica) di quel liquame nero presente nelle arterie del nostro paese, marcano differenze e continuit tra il vecchio e il nuovo, individuano con precisione chirurgica i connotati endemici del fenomeno definito da Piero Gobetti con lucidissimo in- tuito, nel novembre del 22 lautobiografia della nazione.
Nel primo dei due spettacoli Na specie de cadavere lunghissimo lemergenza drammaturgica nasceva dal desiderio di distillare sostanze linguistiche dai sapori apparentemente opposti: la prosa politica e polemica del Pasolini luterano e corsaro e gli endecasillabi inediti e sorprendenti di Giorgio Somalvico, che in un romanesco crepitante e reinventato costringe in metrica il delirio dellomicida, in fuga da Ostia, in unimmaginaria scorribanda notturna alla guida dellAlfa Gt.
Su questo formidabile poeta milanese ancora incredibilmente troppo poco conosciuto rispetto al suo valore ci sarebbe molto da dire. Poeta, romanziere, autore di libretti dopera, pittore, espressione della migliore operosit ambrosiana, eppure schivo e appartato come Gadda, Somalvico nasconde nel ritmo dellendecasillabo tutti i segreti artigianali del suo sapere teatrale e musicale.
Grazie allinvenzione del personaggio di Piero Pastoso (Detto Rana e nun Pecora n Biscia / comm a tutti voantri n malafede / ve pozzino cec! ve piasce crede…), il testo dello spettacolo in grado di operare uno scarto semantico imprevedibile, trovando nei versi di Somalvico lindispensabile anticlimax alle parole di Pasolini.
E cos il teorema pasoliniano genocidio culturale, imbarbarimento consumistico, uso strumentale dei media da parte del Nuovo Fascismo si dispiega inesorabilmente in tutta la sua lucida disperazione, delineando attimo dopo attimo i connotati dellassassino. Generandone i tratti identitari, le de-motivazioni profonde, pensandolo, quellassassino, prima ancora di incontrarlo, in un vertiginoso (quanto involontario?) processo di invenzione. Una sorta di agone tragico (inteso come scontro, ma anche come agonia) tra un Padre e un Figlio, vissuto in scena da un solo corpo e una sola voce, che de-genera, senza soluzione di continuit, da vittima a carnefice, da dottor Jekyll a mister Hyde, in una reazione a catena culturale e linguistica tutta da sperimentare. (..)
Da Gadda, Pasolini e il teatro, un atto sacrale di conoscenza di Fabrizio Gifuni in Gadda e Pasolini : antibiografia di una nazione (Minimum Fax, 2012)
“Per Eraclito il mondo non altro che un tessuto illusorio di contrari. Ogni coppia di contrari un enigma, il cui scioglimento l`unit, il Dio che vi sta dietro”.
Continuo a trovare in queste parole qualcosa che si avvicina moltissimo a quel profondo senso di mistero che accoglie la vita, l`opera e la morte di Pier Paolo Pasolini.
Quando alcuni anni fa iniziavo a pensare all`idea di uno spettacolo su Pasolini, proprio in termini di opposizione che il mio istinto si muoveva : padre e figlio, natura e opera d`arte, vittima e carnefice, erano solo alcune delle antinomie che continuamente si affacciavano sul mio cammino. Ma anche il buio e la luce, la violenza e la mitezza, Dottor Jekyll e Mister Hyde.
Certo, l`urgenza politica era altrettanto forte: Cos forte – in questi tempi bui – da rischiare di travolgere tutto. Il fiume si ingrossa pericolosamente e gli argini rischiano di rompersi. Ogni giorno che passa. C`era il desiderio di raccontare la tragedia pubblica e privata di un poeta che aveva visto scomparire in soli tre lustri il solo mondo in cui voleva riconoscersi. Il grido lacerante e disperato di un uomo che urlava nel deserto contro l`immoralit e la cecit del vecchio Potere che stava aprendo la strada all`avvento di un Nuovo Potere – di un nuovo fascismo – “il pi potente e totalitario che ci sia mai stato.” Ma anche la privatissima tragedia di chi, in virt di quella stessa catastrofe politica e antropologica che vedeva abbattersi sull`Italia, non riconosceva pi i “corpi” dei suoi amati ragazzi, che sembravano trasformarsi – sotto i suoi occhi – da “simpatici malandrini” in “spettrali assassini”. I suoi amati “riccetti” stavano cambiando maschera: dall`innocenza al crimine.
Ma quella frase, scritta da Giorgio Colli, nella sua Nascita della filosofia, proprio nel 1975, anno della morte del poeta di Casarsa, ma riferita al grande sapiente di Efeso, continuava come un ragno invisibile a tessere la sua tela.
E la lettura di Petrolio – un viaggio spericolato nell`ultimo dei labirinti – mi riportava ancora a quella linea d`ombra: Carlo di Polis e Carlo di Tetis, protagonisti nella scissione del romanzo incompiuto, tornavano a spaccare l`io. Come Paolo di Tarso. Come Paolo di Casarsa. Al centro del labirinto stava la bestia immonda. Ma non era che l`immagine dell`eroe riflessa allo specchio. Passato a una Nuova giovent, Narciso, al termine di infinite danze, si inabissava nel suo specchio d`acqua.
“Io sono una viola e un ontano, lo scuro e il pallido della carne…”, “io sono nero di amore, n Santo n Diavolo…”, “io sono un prete e un uomo libero, due scuse per non vivere…”.
La frantumazione e l`ossessione dell`identit tornavano a commuovermi.
“Noi siamo perci una persona sola (la Dissociazione la struttura delle strutture: / lo sdoppiamento del personaggio in due personaggi / la pi grande delle invenzioni letterarie)”dice il poeta in Bestia da stile.
“Il Dio giorno notte, inverno estate, guerra pace, saziet fame”, dice Eraclito in uno dei suoi frammenti.
Non mi restava che seguire il corso dell`acqua.
Da Appunti per uno spettacolo Fabrizio Gifuni – 2003
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